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Se il lavoratore “marina” la scuola…

di Edoardo Mattiello

Nella sentenza n° 138 del 7 gennaio 2019 della Cassazione Civile, sezione Lavoro, i giudici hanno affrontato la questione del licenziamento di un lavoratore che non aveva partecipato, per tre volte e senza giustificazione, a corsi di sicurezza in materia di salute e sicurezza e che era, conseguentemente, stato licenziato dall’azienda.

I giudici ritengono la liceità del licenziamento, poiché identificano un inadempimento contrattuale da parte del lavoratore che, all’atto della stipula del contratto di lavoro, assume diritti, ma anche obblighi nei confronti del datore.

In particolare, egli assume degli obblighi di diligenza e di fedeltà, nonché di rispetto di regole di correttezza e di buona fede, (art. 1175 e 1375 c.c.).

Viene così a fondarsi un reciproco rapporto fiduciario tra lavoratore e azienda.

In particolare, l’art.1175 del codice civile (“Comportamento secondo correttezza”) prevede che “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”, mentre l’art.1375 stabilisce che “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”.

Al tempo stesso, il D.Lgs.81/08 prevede che ogni lavoratore abbia l’obbligo penalmente sanzionato, di “partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro” (art.20 commi 1 e 2 lett.h), a cui fa da contraltare quello del datore di lavoro e del dirigente, di assicurare “che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza” (art.18 c.1 lett.l).

Va da sé, quindi, che il lavoratore non può esimersi dal partecipare alla formazione in materia di salute e sicurezza, poiché altrimenti, oltre che violare una norma penalmente sanzionata, impedirebbe al datore di lavoro di ottemperare ai propri obblighi di formazione, altresì penalmente sanzionati e, quindi, lo renderebbe inadempiente.

Da qui un’evidente mancanza di correttezza e buona fede da parte di chi non si presenta alla formazione.

Si devono però distinguere, a questo punto, due eventualità, la prima, è quella del lavoratore che si rifiuti espressamente di partecipare alla formazione. In questo caso, il licenziamento può essere considerato sempre legittimo, poiché, semplicemente, il comportamento del lavoratore impedisce al datore di lavoro di adibirlo all’attività professionale per cui costui è remunerato. Ovviamente però il rifiuto deve essere chiaramente provato.

La seconda eventualità, che è quella che è stata trattata nella sentenza è quella del lavoratore che non si sia rifiutato espressamente, ma, semplicemente, non si sia presentato alla formazione, magari anche solo per tentare di “scansare” una giornata lavorativa nella speranza di non essere scoperto. In questo caso i giudici, per confermare la proporzionalità della sanzione irrogata rispetto al comportamento tenuto, rilevano che l’art. 72 lett. I del CCNL Vetro (che si applica nel caso specifico) prevede che il licenziamento per punizione è consentito, in caso di recidiva nella “medesima mancanza” di cui all’art. 71 (che contempla anche la mancata presentazione al lavoro senza giustificato motivo).

Da ciò si può dedurre che, qualora un’azienda volesse procedere nei confronti di un lavoratore che non partecipi alla formazione obbligatoria dovrà prima verificare le fattispecie previste dal contratto di lavoro nazionale. Ciò poiché, per esempio, una singola omissione (nel caso specifico, questa era la terza), non necessariamente configura una mancanza di correttezza e buona fede talmente grave da giustificare un licenziamento (anche se, certamente, può sempre giustificare una sanzione meno grave).

Quest’atteggiamento fa la differenza. Prova di emergenza per prendersi cura di se e degli altri.


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