Le sentenze più interessanti del mese di settembre: analisi e commento.
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re di aggiornamento normativo per aziende .
Responsabilità per infortuni nei luoghi di lavoro: formazione dei lavoratori e designazione del RSPP.
Cassazione Penale, Sentenza n. 30231 del 3 agosto 2021
MASSIMA:
“La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.
CONCETTO TRATTATO:
Gli artt. 36 e 37 del Testo Unico per la sicurezza sul lavoro impongono specifici obblighi in capo al datore di lavoro e ai soggetti preposti alla sicurezza del lavoro circa l’informazione e la formazione dei lavoratori.
COMMENTO:
Alla previsione del rischio è strettamente collegato l’obbligo di formare e informare il lavoratore, secondo quanto stabilito dall’art. 37 d.lgs. 81/08, e di vigilare perché siano attuate le misure previste ai fini della tutela della sua incolumità. E’ quindi pacifico che il datore di lavoro debba rispondere dell’infortunio occorso al dipendente ove la mancata formazione sia causalmente collegata al verificarsi dell’evento.
Nel caso di specie, l’amministratore di una società veniva ritenuto responsabile, nei primi gradi di giudizio, per avere cagionato lesioni personali a un dipendente, con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare, il lavoratore, intento a tagliare un pannello di polistirene estruso con l’uso di una sega circolare, entrava in contatto con la lama, riportando una “lesione complessa pollice e indice della mano sinistra” che comportava una malattia superiore a quaranta giorni.
L’amministratore ricorreva in Cassazione sostenendo che non avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere delle violazioni antinfortunistiche, in quanto era il fratello che si occupava della gestione della sicurezza dei dipendenti.
Il ricorrente basava la propria difesa sul fatto che, durante le attività istruttorie svolte nei primi gradi di giudizio, veniva sottolineato come il diretto superiore del dipendente infortunato, presente all’interno del cantiere, non fosse il ricorrente ma il fratello. Quest’ultimo, come infatti risultava dalle testimonianze assunte, si occupava della gestione dei dipendenti e della loro sicurezza. L’organizzazione dell’impresa faceva capo al fratello dell’imputato, il quale aveva anche pieni poteri decisionali e di spesa; conseguentemente, la posizione di garanzia avrebbe dovuto essere individuata in capo a quest’ultimo, essendosi questi occupato in via esclusiva della formazione del lavoratore.
La Corte, con sentenza n. 30231, pubblicata il 3 agosto 2021, rigettava il ricorso.
Infatti, secondo la Corte, “Come ha osservato la Corte di merito la qualifica di RSSP in capo ad I. O., fratello dell’imputato, non può costituire ragione di esonero da responsabilità per il datore di lavoro. Secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge una funzione di consulenza in materia antinfortunistica del datore di lavoro, coadiuvandolo nella individuazione dei rischi, nelle soluzioni tecniche da adottare per impedire il verificarsi di infortuni collegati a tali rischi, nella pratica di formazione e informazione del lavoratore”.
In pratica, la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema dì violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Infatti, la Corte afferma ancora che: “Occorre quindi ribadire che la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è equiparabile ad una delega di funzioni: ove si concretizzi un rischio prevedibile non considerato ed ove l’evento sia causalmente collegato all’omessa o incompleta formazione del lavoratore, dell’infortunio dovrà comunque rispondere il datore di lavoro”.
In conclusione, la Corte ha stabilito che la delega di funzioni è ben diversa dalla designazione del RSPP: se l’infortunio di un lavoratore è collegato ad una insufficiente formazione dello stesso concretizzando così un rischio prevedibile ma non considerato, il responsabile sarà sempre il datore di lavoro.
Per questi motivi la Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La responsabilità del datore in materia di tutela della incolumità fisica dei lavoratori.
Cassazione penale, Sentenza n. 33980 del 15 settembre 2021.
MASSIMA:
“Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, deve informare i lavoratori che operano sul macchinario, istruendoli sulle modalità del suo utilizzo e sulle prescrizioni del manuale di funzionamento”.
CONCETTO TRATTATO:
Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro.
COMMENTO:
Nei primi gradi di giudizio tre soggetti venivano condannati alla pena di euro duecento di multa ciascuno per il reato di lesioni personali colpose perché, nelle rispettive qualità di datore di lavoro, di dirigente responsabile del reparto fonderia ghisa e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, omettevano di adottare tutti i provvedimenti tecnici, organizzativi e procedurali necessari, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.
In particolare, un lavoratore, assieme ad un collega, stava riparando il canale di un forno per la produzione di ghisa trovandosi a circa tre metri di altezza da terra; ad un certo punto inciampava su uno spunzone presente e cadeva riportando gravi lesioni; l’infortunato aveva spiegato che la normale attività di produzione della ghisa comportava l’inevitabile deterioramento della bocca del forno, che pertanto doveva essere periodicamente ripristinata. Dalle risultanze probatorie, a seguito di sopralluogo effettuato presso l’azienda dopo l’infortunio, si era evidenziato che la sommità del forno grande di fusione era priva di qualsiasi protezione per evitare la caduta nel vuoto del personale impegnato nello svolgimento di attività manutentiva.
Il datore avrebbe dovuto garantire la sicurezza del macchinario nella fase della lavorazione e in quella di manutenzione tramite un DVR che avrebbe dovuto descrivere e disciplinarle entrambe. La condizione di lavoratore esperto o qualificato dell’infortunato non può limitare o escludere la responsabilità del datore di lavoro. La procedura di manutenzione ordinaria del forno non era stata descritta e disciplinata puntualmente nel DVR ed era stata effettuata senza l’uso né di procedure pertinenti a tale fase nè di cautele adatte a prevenire i rischi di caduta dall’alto, occorrenti per qualsiasi attività lavorativa in quota.
Il datore e il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione ricorrevano in Cassazione sostenendo che, tra i vari motivi, la Corte di appello aveva erroneamente sostenuto che l’idoneità della sicurezza del forno sotto il profilo produttivo non valesse anche in relazione alla fase manutentiva. Anzi, il forno era stato progettato e costruito da un’azienda leader nel settore ed era quindi ragionevole ritenerlo all’avanguardia anche in relazione ai dispositivi antinfortunistici. Inoltre, la difesa dei ricorrenti sosteneva che, per la lavorazione alla quale era destinato quel macchinario, non occorreva un aggiornamento o un’implementazione dei dispositivi di sicurezza di cui esso era provvisto fin dall’inizio. Il macchinario era all’avanguardia al momento della vendita e continuava ad essere al passo coi tempi anche ad anni di distanza dalla sua messa in funzione.
La Corte, rigettando il ricorso, esprimeva tre chiari principi:
- “per soddisfare gli obblighi di diligenza e di cautela posti a tutela della incolumità fisica dei lavoratori dipendenti, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto a dar loro specifiche informazioni sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative e sull’uso dei macchinari, e risponde dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che l’esistenza di un manuale sull’uso del macchinario valga ad esonerarlo da responsabilità”.
- “In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, peraltro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro”.
- “Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, deve informare i lavoratori che operano sul macchinario, istruendoli sulle modalità del suo utilizzo e sulle prescrizioni del manuale di funzionamento”.
La Corte quindi affermava che il datore di lavoro era stato giustamente condannato per: a) la mancata tutela del lavoratore in relazione all’attività di manutenzione del macchinario, non essendo stata garantita la funzionalità dello stesso nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza; b) l’omessa previsione delle operazioni di pulizia e manutenzione del macchinario nel DVR, nonostante dovessero essere ordinariamente effettuate; c) l’irrilevanza della sola scelta di dotare l’azienda di un macchinario di altissima qualità; d) l’omessa applicazione delle regole generali di sicurezza per le lavorazioni svolte ad altezza rilevante.
Neanche il RSPP poteva ritenersi esonerato dai propri obblighi di informarsi sulla tipologia di lavorazione, di suggerire al datore di lavoro gli interventi da effettuare ai fini della manutenzione e di controllare direttamente la rispondenza delle attrezzature e dei luoghi alle prescrizioni di legge in materia antinfortunistica.
Così la Corte: “In quanto portatore di un obbligo di garanzia, il V.L.M. (il RSPP) doveva farsi carico dell’adozione di misure atte a prevenire il rischio da lavori in altezza e non poteva dolersi in ordine all’omessa segnalazione da parte del dipendente della lavorazione da effettuare”.
In pratica, la mancata previsione nello statuto di sicurezza della società delle attività di pulizia e manutenzione dei macchinari, costituenti non un evento eccezionale ma un’ordinaria fase di lavorazione, derivava da un’evidente negligenza e integrava uno specifico addebito, decisivo nella causazione dell’infortunio.
La Corte quindi rigettava entrambi i ricorsi e condannava i ricorrenti alle spese processuali.
In materia di infortuni sul luogo di lavoro, il comportamento imprudente del lavoratore è insufficiente ad escludere la responsabilità del datore di lavoro.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 25597 del 21 settembre 2021.
MASSIMA:
“Il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del lavoratore, sia quando, pur avendo adottate le necessarie misure, non accerti e vigili affinché queste siano di fatto rispettate da parte del dipendente”.
CONCETTO TRATTATO:
Il comportamento imprudente del lavoratore non esclude né riduce la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che questi non abbia adottato le necessarie misure di sicurezza e di controllo.
COMMENTO:
Un lavoratore si era infortunato mentre movimentava, col carroponte, carichi pesanti, senza spostarsi nell’area di sicurezza segnalata unicamente con una linea verde per terra.
Il lavoratore ricorreva sia in Tribunale sia in Corte d’Appello per ottenere il risarcimento dei danni, ma entrambi i gradi di giudizio respingevano la richiesta ritenendo l’infortunio attribuibile a colpa esclusiva del lavoratore in ragione del comportamento imprudente e anomalo dello stesso.
Il lavoratore ricorreva in Cassazione sostenendo che, tra i vari motivi, le misure di sicurezza adottate, e in particolare la segnaletica orizzontale volta a delimitare la zona a basso rischio, non fossero idonee ad impedire l’accesso del lavoratore nelle suddette aree, mentre sarebbe stata esigibile l’installazione di una barriera fisica o di appositi dispositivi elettronici, in grado di ostacolare il passaggio del lavoratore anche per disattenzione o leggerezza o, in alternativa, una assidua vigilanza.
Infatti, a parere del ricorrente, era stato violato l’articolo 2087 cod. civ. in quanto la Corte d’Appello aveva considerato adempiuto l’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro e della committente, in relazione al rischio specifico di schiacciamento determinato dalla movimentazione di lamiere di dimensione e peso ingente, attraverso la predisposizione di una segnaletica orizzontale, in realtà inidonea ad impedire che gli operatori addetti al caricamento delle lamiere sugli automezzi potessero azionare il carroponte con l’apposita pulsantiera mobile rimanendo all’interno dell’area definita “a rischio residuo”.
La Cassazione, con ordinanza n. 25597 pubblicata il 21 settembre 2021, accoglieva il ricorso in quanto: “è imposto al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore, in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati”.
In pratica, la Corte ribadisce che il comportamento imprudente del lavoratore non esclude né riduce la responsabilità del datore di lavoro ogni qual volta questi non abbia adottato le necessarie misure di sicurezza; l’obbligo di sicurezza che grava sul datore di lavoro comporta che questi sia tenuto a proteggere l’incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell’esecuzione della prestazione, dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea.
Infatti, “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti ascrivibili a sua imperizia, negligenza ed imprudenza”.
Il datore di lavoro è sempre responsabile degli infortuni subiti dai lavoratori, sia quando evita di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del lavoratore, sia quando, anche se ha adottato tutte le misure necessarie, non ha accertato e vigilato affinché le misure siano concretamente rispettate da parte del dipendente.
Inoltre, la Corte afferma che: “la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, cioè quando la condotta del lavoratore, del tutto imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell’evento”.
Viene quindi esclusa la responsabilità del datore di lavoro, nel caso di danno alla salute subito dal lavoratore, esclusivamente se il danno è provocato da una condotta di quest’ultimo del tutto atipica ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute in modo da porsi come causa esclusiva dell’evento dannoso. Per cui è considerata abnorme una condotta personalissima del lavoratore, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa e tale da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro e da porsi come causa esclusiva dell’evento. Nel caso di specie la condotta del lavoratore non veniva ritenuta nè abnorme né eccezionale rispetto alle direttive ricevute.
Per questi motivi la Corte accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’Appello per una nuova decisione.
I dispositivi di protezione individuali devono essere forniti anche al lavoratore in nero.
Cassazione Penale, Sentenza n. 24836 del 25 giugno 2021.
MASSIMA:
“L’assenza di un regolare contratto di lavoro subordinato e il fatto che il lavoratore, al momento dell’infortunio, sia comunque dotato di Dispositivi di protezione individuale (Dpi), per altro suoi, non può far ritenere esclusa la responsabilità del datore di lavoro che ha il dovere di fornire Dpi idonei rispetto alla specifica attività da compiere, sentito il Rspp (Responsabile del servizio prevenzione e protezione) e il medico competente”.
CONCETTO TRATTATO:
In materia di salute e di sicurezza sul lavoro, la Cassazione rimarca la necessità di fornire dispositivi di protezione individuale idonei anche al lavoratore assunto irregolarmente.
COMMENTO:
Nel caso in esame la Suprema Corte ha affrontato un caso di un infortunio occorso ad un lavoratore assunto senza un regolare contratto.
Nella fattispecie, un lavoratore – assunto irregolarmente – si infortunava gravemente cadendo dall’autocisterna sulla quale era salito nell’ambito dello svolgimento della propria attività lavorativa.
A seguito dell’infortunio del dipendente il datore di lavoro nei primi gradi di giudizio veniva ritenuto colpevole del reato di lesioni personali colpose in quanto lo stesso non aveva fornito i necessari dispositivi di protezione e non aveva adempiuto agli obblighi di formazione, addestramento ed informazione di cui al D. Lgs. n. 81/2008
Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione sostenendo, tra i vari motivi, il fatto che non doveva essere applicata la disciplina anti-infortunistica in assenza di formale assunzione.
Con sentenza n. 24836, pubblicata il 25 giugno 2021, la Cassazione rilevava che, nel caso in cui il lavoratore sia assunto in modo irregolare, il datore di lavoro non è sollevato dall’obbligo di osservare e rispettare la disciplina in materia antinfortunistica.
Così la Corte: “Corretto è il rilievo che la circostanza che non vi fosse un regolare contratto di lavoro non esime il datore di lavoro dall’osservanza della disciplina in materia infortunistica come pacificamente osservato dalla giurisprudenza di legittimità citata nella motivazione della sentenza di primo grado”.
La Corte di Cassazione confermava la sentenza della Corte d’Appello stabilendo che, a prescindere dal fatto che il lavoratore non fosse in regola al momento dell’infortunio, il datore di lavoro doveva necessariamente considerarsi responsabile per non aver comunque fornito adeguata formazione e i necessari dispositivi di protezione avendo di fatto impiegato il lavoratore a svolgere una mansione durante la quale era rimasto infortunato.
Il datore di lavoro risulta, infatti, responsabile, anche in mancanza di regolare contratto di lavoro subordinato e ha il dovere di fornire gli adeguati dispositivi al lavoratore in base all’attività che questo è chiamato a svolgere. Al fine di evitare o eliminare il rischio di incidenti sul luogo di lavoro, il datore ha l’ulteriore obbligo di formare in maniera adeguata i soggetti posti alle sue dipendenze, soprattutto nei confronti del lavoratore assunto in nero.
Inoltre, la Corte stabiliva che: “la circostanza -evidenziata dalla difesa dell’imputato- che al momento del fatto Fallica Vincenzo indossasse le scarpe antiinfortunistiche, la tuta ignifuga ed i guanti per il trasporto di gas liquido non esime da colpa il datore di lavoro perché quegli indumenti erano del lavoratore che li utilizzava per la propria pregressa attività lavorativa di trasporto di bombole di gas ma non erano quelli antiscivolo necessari per l’attività specifica che si stava apprestando a compiere su disposizione dell’imputato”.
In pratica, è stata dichiarata completamente irrilevante la circostanza relativa al fatto che il lavoratore indossasse le proprie scarpe antinfortunistiche, la tuta ignifuga e i guanti per il trasporto del gas; questi indumenti, infatti, non essendo stati forniti dal datore di lavoro a protezione dei rischi specifici della mansione, non risultavano idonei a prevenire il rischio per la specifica attività che si stava apprestando ad effettuare il lavoratore su ordine del datore di lavoro.
Pertanto, la Cassazione rigettava il ricorso sottolineando la necessità di fornire Dpi idonei anche al lavoratore assunto irregolarmente e confermava la condanna del datore di lavoro per l’infortunio occorso all’operaio assunto “in nero”, in quanto non aveva fornito al lavoratore né i necessari dispositivi di protezione, né lo aveva informato, formato e addestrato così come previsto dal D.Lgs 81/2008.