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Giurisprudenza e approfondimenti del mese di Ottobre

Le sentenze più interessanti del mese di ottobre: analisi e commento.

L’analisi e i commenti alle sentenze contenuti in questo articolo sono un estratto di SCAN: Software di aggiornamento normativo per aziende .

Cassazione Penale, Sentenza n. 32861 del 6 settembre 2021.

MASSIMA:
“La mancanza di poteri decisionali e di spesa in capo al delegato non consente di attribuire alla delega rilasciata nel caso di specie valore esimente rispetto alla responsabilità concorrente del delegante, il quale, in forza della sua posizione di garanzia, conservava dunque i suoi doveri di controllo sull’operato dei propri collaboratori sugli aspetti legati alla gestione dell’impianto”.

CONCETTO TRATTATO:

Viene stabilita la delimitazione del campo di applicazione della delega di funzioni in materia ambientale, nel caso in cui l’atto di delega sia privo del potere di spesa e del potere decisionale in capo al delegato.

COMMENTO:

Un legale rappresentante di una società veniva condannato nei primi gradi di giudizio per aver violato le disposizioni dell’art. 29 quattordecies del D.lgs 81/2008 in merito alle disposizioni relative all’autorizzazione integrata ambientale, in quanto l’azienda recapitava nell’area di un fiume alcune sostanze chimiche in maniera superiore rispetto ai valori limite di emissione in un corpo idrico superficiale.

Il legale rappresentante ricorreva in Cassazione, osservando che la sentenza aveva errato nel non tenere conto del fatto che nel caso di specie era stata conferita una delega di funzioni al direttore tecnico tale da escludere profili di responsabilità dell’imputato; inoltre, sosteneva che fossero comprovate dalle attività istruttorie svolte in Tribunale l’episodicità e l’occasionalità della eventuale violazione.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 32861 depositata il 6 settembre 2021, si soffermava sui requisiti della delega in materia ambientale per l’attribuzione della rilevanza penale.

In materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la presenza di precisi requisiti:

  • la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale;
  • il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli;
  • il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa;
  • la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa;
  • l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.

Secondo la Corte, “l’impostazione seguita nella sentenza impugnata deve essere ritenuta legittima, in quanto la mancanza di poteri decisionali e di spesa in capo al delegato non consente di attribuire alla delega rilasciata valore esimente rispetto alla responsabilità concorrente del delegante, il quale, in forza della sua posizione di garanzia, conservava dunque i suoi doveri di controllo sull’operato dei propri collaboratori sugli aspetti legati alla gestione dell’impianto, a ciò dovendosi solo aggiungere che, ai fini della configurabilità sotto il profilo soggettivo del reato contestato, avente natura contravvenzionale, è sufficiente anche la colpa”.

Nel caso di specie, la Corte stabiliva che al delegato venivano attribuite le responsabilità connesse alla gestione delle aree industriali e degli impianti di depurazione, con il compito di fornire un adeguato supporto alla soluzione dei problemi, pianificando interventi e controllandone i risultati, ma senza alcun riferimento a poteri decisionali e di spesa, il che impediva di considerare esente da responsabilità il delegante.

In sintesi, in tema di inquinamento e delega di funzioni in materia ambientale, la Corte precisava che la mancanza di poteri decisionali e di spesa in capo al delegato non consente di esonerare il delegante rispetto alla responsabilità concorrente per i reati ambientali.

La Corte confermava quindi la responsabilità del legale rappresentante per non aver rispettato le prescrizioni dell’AIA (Autorizzazione integrata ambientale), disattendendo così la tesi difensiva secondo cui bisognava tener conto del fatto che era stata conferita una delega di funzioni al direttore tecnico, così da escludere profili di responsabilità dell’imputato, in quanto detta delega non rispettava i requisiti necessari ad un esonero di responsabilità del delegante.

Cassazione Penale, Sentenza n. 35652 del 29 settembre 2021.

MASSIMA:
“L’istituto della delega di funzioni investe di responsabilità il delegato solo se gli vengono attribuiti reali poteri di organizzazione, gestione, controllo e spese pertinenti all’ambito delegato (o, per quanto qui rileva, a specifici settori dell’ambito delegato). In altri termini, l’effetto liberatorio – per il datore di lavoro delegante – viene meno qualora sorgano problematiche afferenti alla sicurezza che trascendono i poteri delegati, specie se esse coinvolgano scelte di fondo della politica aziendale, che richiedono un impegno di spesa eccedente rispetto ai limiti stabiliti, come sembra essere avvenuto nel caso di specie.”.

CONCETTO TRATTATO:

L’istituto della delega di funzioni investe di responsabilità il delegato solo se gli vengono attribuiti reali poteri di organizzazione, gestione, controllo e spese pertinenti all’ambito delegato.

COMMENTO:

In materia di igiene e sicurezza del lavoro, la delega delle funzioni, disciplinata dall’articolo 16 del D.Lgs 81/ 2008 (Testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), è caratterizzata da alcune condizioni formali e sostanziali che sono da verificare sia nel momento costitutivo sia nel suo svolgersi in concreto.

Nel caso concreto, un delegato per la sicurezza di una società veniva ritenuto colpevole nei primi gradi di giudizio per aver cagionato in modo colposo lesioni gravi (trauma da schiacciamento al quarto dito della mano) ad un dipendente il quale, mentre operava utilizzando un telaio metallico impugnando con le mani i montanti verticali, veniva colpito da una slitta che era scivolata a seguito di un urto accidentale del telaio.

In corso di causa, veniva provato che il delegato aveva da sempre omesso di dotare i telai metallici di barre trasversali o maniglie da utilizzarsi durante la movimentazione degli stessi (che avevano all’interno delle slitte estraibili) in modo da evitare ai dipendenti il rischio di schiacciamento delle mani.

L’imputato ricorreva allora in Cassazione sostenendo di non aver più avuto la delega in materia di sicurezza riguardo gli interventi di messa in sicurezza dei carrelli su ruote usati nelle aree di lavoro di competenza del dipendente infortunato; infatti, lo stesso precisava che la gestione e la risoluzione del problema (elevato rischio biologico in quel settore specifico) era stata assunta direttamente dall’amministrazione centrale, stabilendo precisi tempi e modalità degli interventi per ovviare ai relativi deficit di sicurezza dei telai. In pratica, i vertici aziendali avrebbero “centralizzato” le scelte in materia di sicurezza lavoro relativamente al settore in cui era avvenuto l’infortunio.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 35652 depositata il 29 settembre 2021, accoglieva il ricorso in quanto nei primi gradi di giudizio era stata erroneamente affermata la responsabilità del ricorrente sulla formale constatazione che egli risultasse delegato alla sicurezza in azienda.

Così la Corte: “La sentenza impugnata affronta in maniera insoddisfacente la questione sollevata dalla difesa, corroborata da produzioni documentali che attestano come della problematica dei carrelli su ruote utilizzati nel reparto cui era addetto il lavoratore infortunato si fossero fatti carico i vertici aziendali, sostanzialmente esonerando il prevenuto – quale delegato alla sicurezza – dall’occuparsi direttamente del problema”.

Sostanzialmente, la decisione dei vertici aziendali di centralizzare i problemi e le relative soluzioni nello specifico settore costituiva una corrispondente revoca di delega nei confronti dell’imputato; la delega di funzioni investe la responsabilità del delegato solo se gli vengono attribuiti reali poteri di organizzazione, gestione, controllo e spese pertinenti all’ambito delegato, ovvero a specifici settori dell’ambito delegato.

In conclusione, ciò che rende individuabile all’interno di un’impresa il responsabile della sicurezza contro gli infortuni è il fatto che la persona formalmente delegata abbia concretamente la gestione e la risoluzione dei problemi con la possibilità di provvedere alle spese necessarie per individuare i sistemi di protezione; il delegante è esonerato dalla responsabilità, ricadente sul delegato, solo se si prova l’esistenza di tali poteri.

La Corte pertanto accoglieva il ricorso e annullava la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio.


Cassazione penale, Sentenza n. 36204 del 6 ottobre 2021.

MASSIMA:
Il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo, ma, da un lato, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e, d’altro lato, è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo”.

CONCETTO TRATTATO:

Lo smaltimento di un grosso quantitativo di rifiuti pericolosi senza la prescritta autorizzazione (art. 256, D.Lgs. n. 152/2006, Codice ambientale) esclude la non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis del Codice penale.

COMMENTO:

Il titolare di un’impresa veniva condannato per il reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) per aver smaltito illecitamente diversi quantitativi di apparecchiature elettriche, contenenti sostanze pericolose come ad esempio il CER 160213, non compresi nell’autorizzazione rilasciata.

L’imputato ricorreva in Cassazione, sostenendo che la propria ditta era autorizzata al ritiro, trasporto e conferimento di quel rifiuto presso altro centro di smaltimento e perché nel registro di carico e scarico il rifiuto era stato messo in riserva, conformemente all’autorizzazione, precisando di aver commesso un errore, non trattando il rifiuto singolarmente, ma insieme agli altri rottami ferrosi; a suo dire, la propria condotta sarebbe stata occasionale e quindi vi erano i presupposti per applicare l’art. 131-bis cod. pen. (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto).

La Cassazione, con sentenza n. 36204 depositata il 6 ottobre 2021, respingeva il ricorso dell’imprenditore in quanto la sentenza impugnata aveva motivatamente escluso l’applicabilità dell’art. 131- bis cod. pen., per la rilevante quantità di rifiuti pericolosi smaltiti.

L’istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è chiaramente preordinato ad escludere la punibilità del colpevole per fatti che, sebbene astrattamente costituiscano reato, risultano espressione di un grado di offensività particolarmente tenue, tenendo conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.

Ma, nel caso in concreto, la Corte riteneva che: “non è manifestamente illogico o contraddittorio escludere la causa di non punibilità per la rilevanza della quantità del materiale trattato”.

In pratica, vista la quantità e la pericolosità del materiale smaltito senza autorizzazione, la Corte non ravvisava una particolare tenuità del fatto e negava l’applicabilità del beneficio in questione al titolare dell’impresa, per cui respingeva il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Cassazione Penale, Sentenza n. 22254 dell’8 giugno 2021.

MASSIMA:
In tema di infortuni sul lavoro, grava sul datore di lavoro una specifica posizione di garanzia in virtù della quale egli è tenuto ad evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica dei lavoratori intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative. Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro”.

CONCETTO TRATTATO:

Il datore di lavoro è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli tanto che la sua responsabilità non è esclusa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, nemmeno a fronte di eventuali responsabilità dei lavoratori.

COMMENTO:

Nel giudizio di primo grado, il Tribunale condannava due soggetti alla pena di euro duemila di

multa ciascuno nonché al risarcimento dei danni in favore di un dipendente in relazione al reato di lesioni personali colpose e di omessa valutazione dei rischi (il primo in qualità di datore di lavoro ed il secondo in qualità di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) per aver cagionato al dipendente lesioni consistite in trauma da schiacciamento, ferita lacero contusa alla mano sinistra e l’amputazione della mano destra,

In particolare, accadeva che, avendo la società omesso nel Documento di Valutazione dei Rischi di valutare i rischi correlati alla fase di pulizia dell’impianto di produzione di conglomerati bituminosi, durante l’esecuzione dei lavori di pulizia dell’impianto, il lavoratore, adibito alle mansioni di autista di camion e palista movimento terra, una volta effettuato lo scarico del bitume, procedeva in retromarcia e nell’effettuare tale operazione la parte anteriore della cabina rimaneva incastrata alla traversa metallica di sostegno della struttura dell’ impianto, così salendo in cabina lo stesso dipendente toccava la trave per sboccarla e questa si liberava istantaneamente procurando al medesimo le suddette lesioni.

Gli imputati ricorrevano in appello e la Corte d’Appello adita riformava la sentenza impugnata, assolvendo i due ricorrenti perché il fatto non sussisteva, in quanto veniva rilevato che il DVR dell’azienda aveva comunque preso in esame le tre fasi lavorative che si svolgevano presso l’unità produttiva costituita dall’impianto di produzione di conglomerati bituminosi; a differenza di altre unità produttive, non era prevista una specifica fase relativa a lavori di pulizia e manutenzione.

In pratica, secondo la Corte di appello, l’operazione attuata dal lavoratore in occasione dell’infortunio era imprevedibile e non evitabile da parte dei titolari delle posizioni di garanzia. In base al DVR, il lavoratore non doveva essere impiegato per lo svolgimento della fase lavorativa relativa alla distribuzione del prodotto finito, sicché non aveva ricevuto una formazione specifica sul punto (inoltre, la difesa, che provava la frequenza dei corsi di formazione organizzati dal datore di lavoro da parte del dipendente, non provava i contenuti della formazione stessa resa ai singoli

lavoratori dalla ditta). il lavoratore non avrebbe dovuto assumere una condotta così gravemente imprudente, ossia quella di tentare un intervento manutentivo così pericoloso, che non gli competeva, e del tutto imprevedibile da parte dei soggetti titolari di posizioni di garanzia.

Il dipendente ricorreva allora in Cassazione, sostenendo che il datore di lavoro e il responsabile alla sicurezza avrebbero dovuto indicare in modo specifico i fattori di pericolo presenti in azienda e le misure da adottare in tema di prevenzione e sicurezza nonché provvedere alla formazione dei lavoratori; entrambi non consideravano che la pala meccanica più alta poteva incastrarsi, prima o poi, in un elemento dell’impianto e continuavano a far eseguire la predetta fase lavorativa senza previsioni di sicurezza.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22254 depositata l’8 giugno 2021, accoglieva il ricorso del dipendente, stabilendo che il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori “in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro”.

Così la Corte: “Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l’adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore”.

Affinchè la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’infortunio, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Pertanto, è necessario che il datore e il RSPP abbiano posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’infortunio potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento dei garanti.

Nel caso di specie, rilevava la Corte, “il datore di lavoro e il RSPP non avevano considerato nel DVR, ai fini della normativa antinfortunistica e di prevenzione, la fase lavorativa in questione, da sempre svolta in azienda, e ontologicamente distinta dalle altre. In conseguenza di ciò, i lavoratori addetti a tale fase, in primis l’infortunato, non erano stati formati e preparati con riguardo a questa specifica attività lavorativa”.

In sintesi, veniva dimostrato che il lavoratore non aveva ricevuto un formazione ed una preparazione idonea alla specifica attività lavorativa svolta che, pur essendo distinta dalle altre attività, non era stata considerata nel DVR.

Per questi motivi la Corte accoglieva il ricorso e annullava la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello.