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Giurisprudenza e approfondimenti del mese di Gennaio

Le sentenze più interessanti del mese di gennaio: analisi e commento.

L’analisi e i commenti alle sentenze contenuti in questo articolo sono un estratto di SCAN: Software di aggiornamento normativo per aziende.

Responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione.

Cassazione Civile, Ordinanza n. 37738 del 1 dicembre 2021

MASSIMA:
La responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. non è una responsabilità oggettiva, ma colposa, dovendosi valutare il difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire danni per i lavoratori, in relazione all’attività lavorativa svolta, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a fronteggiare ogni causa di infortunio, anche quelle imprevedibili.

CONCETTO TRATTATO:
Viene trattata la differenza tra la responsabilità oggettiva (senza colpa) e la responsabilità colposa del datore di lavoro.

COMMENTO:
Un medico radiologo domandava il risarcimento dei danni fisici al proprio datore di lavoro (una ASL), in seguito ad una caduta, dopo il parcheggio della propria autovettura, su un marciapiede strutturalmente disconnesso e incompleto nel piazzale antistante l’obitorio della struttura sanitaria ove il medico radiologo svolgeva la propria attività.

Nei primi due gradi di giudizio la richiesta del medico veniva respinta per due motivi: veniva in primis escluso un profilo di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod.civ., ritenendo

che l’infortunio si fosse verificato per un comportamento colposo del lavoratore che aveva parcheggiato l’automobile in un’area “utilizzata (abusivamente) per parcheggiare”( area non autorizzata a parcheggio). Inoltre, non vi sarebbe responsabilità della struttura sanitaria ex art. 2051 cod.civ., non avendo, il lavoratore, specificato le ragioni per cui la ASL dovesse rispondere della manutenzione dei cordoli del marciapiedi sul quale era caduto, cordoli “posti al di fuori della struttura sanitaria” ove lavorava il medico, anche se l’area in cui aveva parcheggiato era ubicata all’interno dell’Ospedale.

Il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello non aveva considerato il fatto che il sinistro fosse avvenuto nell’area pertinenziale l’Ospedale mentre il medico si recava sul posto di lavoro; inoltre, il ricorrente riteneva che la responsabilità del datore di lavoro dovrebbe estendersi anche al di fuori del posto di lavoro assegnato al lavoratore, comprendendo anche le zone adiacenti nelle quali gli addetti possono comunque recarsi e muoversi, ed infatti l’infortunio sul lavoro si verificava nell’area esterna immediatamente adiacente l’Ospedale e la ASL sarebbe stata responsabile in quanto titolare della proprietà della zona in cui si è verificato l’evento lesivo,  in qualità di “custode” ex art. 2051 cod.civ.

Infine, il ricorrente ribadiva come l’area in cui si era verificato il sinistro fosse di pertinenza della ASL (tenuta, pertanto, alla manutenzione) e nessuna contestazione era stata mossa da parte della ASL convenuta.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 37738 depositata il 1° dicembre 2021, rigettava il ricorso.

Innanzitutto, la Corte rilevava che, con riguardo agli obblighi di protezione imposti al datore di lavoro dall’art. 2087 cod.civ., il lavoratore aveva adottato un condotta imprevedibile in quanto aveva ritenuto di parcheggiare l’automobile in una zona non autorizzata a parcheggio, e con ciò ha “interrotto il nesso causale tra l’attività lavorativa e l’incidente”.

Inoltre, la Corte sosteneva che “anche con riguardo agli obblighi del custode, ex art. 2051 cod.civ., la Corte territoriale ha fornito motivazione della esclusione di un profilo di responsabilità della ASL rilevando che il ricorso introduttivo del giudizio era carente di elementi costitutivi con particolare riguardo alla sussistenza di una potestà di fatto dell’azienda sanitaria sui cordoli del marciapiede su cui il medico era caduto, non potendo, pertanto, rinvenirsi nella ASL la veste di custode”

In sintesi, la Corte ha affermato che la responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi di prevenzione non è una responsabilità oggettiva (ovvero senza colpa), ma colposa, in quanto si deve valutare la mancanza di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire danni per i lavoratori, ma non è possibile esigere la predisposizione di tutte le misure che possano prevenire ogni causa di infortunio, e quindi anche quelle imprevedibili.

La Corte, quindi, rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.


Morte di un operaio e responsabilità del datore di lavoro.

Cassazione Penale, Sentenza n. 45575 del 13 dicembre 2021.

MASSIMA:
“In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi “contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche”. 

CONCETTO TRATTATO:
Il datore di lavoro che ha omesso ogni forma di sorveglianza su prassi “contra legem” può essere imputato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche.

COMMENTO:
Una Corte d’Appello condannava il datore di lavoro, il direttore tecnico di un cantiere edile e il responsabile della sicurezza per avere colposamente cagionato la morte dell’operaio impegnato nella costruzione di un edificio condominiale, a causa delle gravissime ustioni riportate dal lavoratore sul corpo, con decesso avvenuto diciotto giorni dopo.

All’interno del cantiere si era consolidata una consuetudine secondo cui un operaio procedeva abitualmente alla pulizia delle cazzuole con l’accendino, anche quando era stato appena utilizzato un materiale infiammabile, e i soggetti in posizione di garanzia (direttore tecnico, responsabile della sicurezza) non prevenivano, né impedivano tale prassi (evidentemente una prassi “contra legem”, ovvero illecita).

Non venivano inoltre considerate le possibili fonti di rischio da incendio (impiego di materiale infiammabile, ambiente angusto, ridotta ventilazione, stratificazioni di vapori infiammabili).

Nei primi gradi di giudizio veniva stabilito che erano state violate da parte degli imputati le previsioni di cui agli artt. 225, comma 5 (omessa predisposizione di idonee misure di vigilanza e di controllo affinché in cantiere non fossero presenti fonti di innesco o di accensione), 96 (omessa valutazione del rischio da calore e fiamme, con particolare riferimento all’impiego di prodotti infiammabili nella fase di pavimentazione e rivestimento) e 36-37 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (omessa formazione ed informazione dei lavoratori sul predetto rischio da calore e fiamme e sulle caratteristiche tecniche e sui peculiari fattori di rischio di un prodotto).

Gli imputati ricorrevano in Cassazione, sostenendo tra gli altri motivi che “non può essere sostenuto che gli imputati avrebbero dovuto impedire aggiramenti dei lavoratori del divieto di fumare in cantiere e di detenere fonti di innesco, quasi a trasformare il datore di lavoro e il responsabile di cantiere in vigilanti”.

Tuttavia la Corte di Cassazione, con sentenza n. 45575 depositata il 13 dicembre 2021, rigettava il ricorso (anche se annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di lesioni colpose perché estinto per prescrizione) ricordando che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tra i destinatari degli obblighi, devono annoverarsi anche il direttore tecnico ed il “capo cantiere”, e che, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative “contra legem”.

Così la Corte: “Se sul cantiere, anche da parte di un solo operaio, era invalsa tale pericolosa prassi, era proprio compito degli odierni ricorrenti, nell’ambito delle specifiche posizioni di garanzia rivestite, contrastarla”.

La sentenza è importante perché impone di determinare la responsabilità dei lavoratori in base al principio di autoresponsabilità. In pratica, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” (dando una sorta di responsabilità oggettiva, ovvero senza colpa, ai soggetti responsabili della sicurezza), si è passati al concetto di “area di rischio” che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.

Sempre la Corte: “Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l’adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore”.

Pertanto da ciò deriva che, se nell’esercizio dell’attività lavorativa si instaura, con il consenso del dipendente, una prassi “contra legem” apportatrice di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

In conseguenza di quanto sopra, la Corte annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 590 c.p., (lesioni) perché estinto per prescrizione ed eliminava la pena rideterminando quella finale in mesi otto di reclusione per ciascuno degli imputati in quanto responsabili delle violazioni di norme antinfortunistiche.


Infortunio sul lavoro e responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Cassazione civile, Sezione lavoro, Sentenza n. 29909 del 25 ottobre 2021.

 MASSIMA:
“Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, previsto dall’art. 2087 c.c., non determina una responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, essendo necessario che la sua condotta, commissiva od omissiva, sia sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Ne consegue che sono a carico del lavoratore, quale creditore dell’obbligo di sicurezza, gli oneri di allegazione circa la fonte da cui scaturisce siffatto obbligo, del termine di scadenza e dell’inadempimento; nondimeno, l’individuazione delle misure di prevenzione che il datore avrebbe dovuto adottare e l’identificazione della condotta che nello specifico ne ha determinato la violazione deve essere modulata in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l’esposizione al pericolo.”.

CONCETTO TRATTATO:

E’ possibile il risarcimento a carico del datore di lavoro per l’infortunio di un lavoratore non dovuto a violazioni di obblighi specifici.

COMMENTO:

Un macchinista dipendente di Trenitalia s.p.a., veniva colpito all’occhio destro da schegge metalliche prodotte dalla frenatura del rotabile mentre era in attesa, sul marciapiede di un binario, di prendere la guida di un treno.

La Corte d’Appello rigettava la domanda di risarcimento del danno cagionato da infortunio sul lavoro fondando la decisione sulla mancanza di allegazioni nella domanda relativa alle condotte commissive ed omissive necessarie a configurare l’inadempimento datoriale; il difetto di allegazione, secondo il giudice di appello, discendeva dalla stessa dinamica dell’infortunio che si era verificato mentre il danneggiato si trovava sul marciapiede del binario, al di là dell’area di sicurezza delimitata dalla linea gialla, e quindi esposto ad un rischio comune a tutti i viaggiatori in sosta sulla banchina e non ad un rischio tipico dell’attività di condotta dei locomotori, con conseguente impossibilità per Trenitalia di approntare dispositivi di protezione a riguardo.

Il dipendente ricorreva allora in Cassazione sostenendo che, tra gli altri motivi, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’affermare l’onere del ricorrente di specificare le condotte omissive e commissive configuranti l’inadempimento della società datrice all’obbligo di sicurezza imposto dall’art. 2087 cod. civ.; infatti, a norma dell’articolo 2087 del Codice civile, la parte datoriale deve “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 29909 depositata il 25 ottobre 2021, accoglieva il ricorso affermando che: “costituisce acquisizione consolidata la natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’art. 2087 cod. civ., norma di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali, l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico”.

Ciò significa che l’onere processuale di allegazione a carico del lavoratore, che chiama in causa il datore per l’infortunio subito durante l’espletamento della propria mansione, ha una diversa “intensità” a seconda che si affermino violati specifici obblighi di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro o forme di protezione non codificate, ma ricavabili dalla comune esperienza.

L’art. 2087 cod. civ. si deve qualificare ”non solo come fonte di doveri di astensione ma anche di obblighi positivi in quanto il datore di lavoro è tenuto a predisporre un’organizzazione ed un ambiente di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale, di rilievo costituzionale, rappresentato dalla salute”.

La Cassazione chiarisce quindi che l’onere di allegazione della parte attrice danneggiata durante l’attività lavorativa – sui profili di colpa e di indicazione della condotta che il datore di lavoro avrebbe dovuto tenere e, invece, si ritiene violata – è meno significativo se la violazione non riguarda specifici obblighi.

Anzi, in tal caso è onere del datore di lavoro dimostrare che non manca la previsione da parte propria di tutte le dovute prescrizioni di sicurezza che derivano, non solo da obblighi imposti dalla legge, ma anche dall’esperienza storica maturata all’interno di determinati cicli produttivi o di somministrazione di servizi.

In sintesi, l’imprenditore deve approntare tutte le misure di protezione anche dettate soltanto dalla comune esperienza e non dalla legge.

La Corte quindi accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata.

La delega dei compiti di sicurezza nel lavoro non esonera da responsabilità da infortunio il datore di lavoro.

Cassazione civile, Sentenza n. 25512 del 21 settembre 2021.

MASSIMA:
“L’art. 2087 c.c. pone a carico del datore di lavoro il cosiddetto obbligo di sicurezza, per cui il prestatore di lavoro deve essere posto al riparo da ogni stato di pericolo nascente dall’attività lavorativa, posta la particolare configurazione del rapporto di lavoro, il quale non si risolve in un mero scambio di prestazione lavorativa contro retribuzione, ma determina una situazione più complessa la quale implica necessariamente l’esigenza di tutela della personalità fisica e morale del lavoratore. In conseguenza di quanto sopra esposto, la responsabilità del datore di lavoro che discende dalla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e la correlata responsabilità posta dalla norma a carico del datore di lavoro implica necessariamente che quest’ultimo non può invocare come fatto liberatorio l’aver delegato a terzi l’adempimento dell’obbligo di adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, permanendo a suo carico, a norma dell’art. 1228 c.c., la responsabilità civile per i fatti dolosi o colposi di costoro”.

CONCETTO TRATTATO:
La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, prevista dall’art. 16 del D.Lgs. 81/2008, non incide sull’obbligo di risarcimento gravante sul datore di lavoro in sede civile, anche nel caso in cui essa sia alla base di un’assoluzione in sede penale.

COMMENTO:
In un giudizio penale a seguito di un infortunio mortale sul lavoro, era stato condannato come responsabile il dipendente al quale il datore di lavoro aveva delegato i compiti inerenti la sicurezza sul lavoro; tuttavia, il datore di lavoro era stato considerato soggetto civilmente responsabile del sinistro e conseguentemente veniva condannato al pagamento di una somma in favore di INAIL, come conseguenza dell’azione di regresso avviata da quest’ultima.

Il datore di lavoro proponeva allora ricorso per Cassazione sostenendo di aver delegato un altro soggetto all’adozione e all’attuazione delle misure di sicurezza che avrebbero potuto evitare l’infortunio mortale, circostanza sulla base della quale il soggetto delegato era stato condannato in sede penale, mentre il ricorrente era stato assolto, in quanto ritenuto non destinatario degli obblighi di sicurezza e prevenzionistici.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25512 depositata il 21 settembre 2021, respingeva il ricorso affermando che: “va chiarito che la individuazione del soggetto effettivamente tenuto ad assolvere gli obblighi prevenzionali è il presupposto per l’accertamento della responsabilità datoriale nella giurisprudenza penale, ma la titolarità degli obblighi penalmente rilevanti […] non incide sulla responsabilità per inadempimento dell’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro né sulla eventuale responsabilità di quest’ultimo ai sensi dell’art. 2049 cod.civ.”.

La Cassazione distingue l’ipotesi in cui la delega sia esecutiva da quella in cui sia funzionale, esclusiva. Nel primo caso, la responsabilità del datore di lavoro per eventuali infortuni per comportamenti dolosi o colposi permane ed è diretta, in applicazione dell’art. 2087 c.c., perché il datore non si spoglia del suo potere di sorveglianza. Nel secondo, il datore ne risponde ugualmente in solido col delegato, a titolo di responsabilità oggettiva, a norma dell’art. 1228 cod. civ., per fatti dolosi o colposi compiuti dal proprio dipendente nell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza.

Nel caso di specie, al preposto veniva conferita non una delega esecutiva, ma una delega funzionale a tutti gli effetti; in tal caso, si può parlare di un’assunzione a titolo derivativo dell’obbligo di sicurezza, perché con la delega il delegato è succeduto nella posizione del suo dante causa nell’adempimento dell’obbligo di scurezza. Neanche in questo caso ciò significa che il datore di lavoro non debba rispondere dell’operato del preposto. Egli ne risponde, ma a titolo diverso, non

già per inadempimento dell’obbligo primario di sicurezza, cioè per fatto proprio, ma per il rapporto di preposizione, cioè un elemento oggettivo, insieme con il fatto dannoso ingiusto, considerando che “egli è chiamato a rendere conto dell’attività del preposto nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’impresa, prescindendosi dalla sua colpa, in quanto la responsabilità è imputata a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta imprenditoriale”.

In sintesi, la Corte ribadisce: che la condanna penale del preposto alla sicurezza non esclude

la responsabilità civile in capo al datore di lavoro; che debitori dell’obbligo di sicurezza sono tanto il datore di lavoro dell’infortunato quanto il preposto delegato alla sicurezza, i quali ben possono essere chiamati a rispondere ex art. 2055 cod.civ., con titoli di imputazione della responsabilità diversi; che il fatto che il responsabile legale della società sia stato assolto in sede penale non comporta alcun esonero da responsabilità della datrice di lavoro, perché l’assoluzione del rappresentante legale è avvenuta proprio in applicazione del principio di effettività invocato dal ricorrente.

La Corte quindi rigettava il ricorso e condannava la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.