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FORMAZIONE GENERALE DEI LAVORATORI

Licenziabile il dipendente che non si sottopone a visita medica

Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza n. 22094 del 13 luglio 2022.

L’analisi e i commenti alle sentenze contenuti in questo articolo sono un estratto di SCAN: Software di aggiornamento normativo per aziende.

MASSIMA:

“Il rifiuto della dipendente di sottoporsi a visita medica sul luogo di lavoro legittima il suo licenziamento anche nel caso in cui tale comportamento sia conseguenza di un presunto demansionamento, a seguito della nuova attività assegnata”.

CONCETTO TRATTATO:

Ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di una lavoratrice che si era rifiutata di sottoporsi a una visita medica a seguito del conferimento di un nuovo incarico.

COMMENTO:

Veniva confermata da una Corte di appello la sentenza di primo grado con la quale si rigettava l’impugnativa del licenziamento di una lavoratrice, irrogato dalla s.p.a. di cui questa era stata dipendente con mansioni di impiegata amministrativa.

Il licenziamento era stato irrogato per giusta causa, in seguito alla lettera di contestazione disciplinare in cui le era stato ascritto di essersi rifiutata di effettuare la visita medica in due giornate, nella prima circostanza adducendo l’inidoneità del luogo di svolgimento del controllo e, nel secondo caso, omettendo di presentarsi nel luogo ed orario del previsto espletamento.

I giudici di prime cure, in particolare, avevano ritenuto che la richiesta di sottoposizione a visita medica fosse conforme alla legge e il rifiuto della lavoratrice dovesse, dunque, reputarsi illegittimo e non giustificato.

La lavoratrice proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la visita medica disposta dall’azienda aveva la sola finalità di accertare l’idoneità della lavoratrice non allo svolgimento delle mansioni già assegnate e in corso di svolgimento, bensì l’idoneità a svolgere nuove e ben diverse mansioni lavorative assegnatele illegittimamente.

Inoltre, la ricorrente lamentava il fatto che la Corte di merito non avesse valutato, da un lato, l’elemento soggettivo e cioè la buona fede nel rifiutarsi a sottoporsi a visita medica e, dall’altro, la sproporzione tra la sanzione inflitta rispetto alla condotta contestata.

La Corte, con ordinanza n. 22094 depositata il 13 luglio 2022,  rigettava il ricorso, rilevando che la visita medica di idoneità in ipotesi di cambio delle mansioni è prescritta per legge e la richiesta di sottoposizione a tale visita da parte del datore di lavoro, prima della assegnazione alle nuove mansioni, rappresenta un adempimento dovuto.

Il rifiuto della lavoratrice, dunque, volto a contrastare un illegittimo demansionamento, poiché le nuove mansioni erano state ritenute dalla stessa non conformi alla qualifica rivestita e non compatibili con le condizioni di salute, doveva considerarsi illegittimo.

La visita medica disposta, difatti, era preventiva e prodromica all’assegnazione delle nuove mansioni e l’omissione della stessa avrebbe costituito un colposo e grave inadempimento di parte datoriale.

Infatti, secondo la Corte, la reazione della lavoratrice “non è assolutamente giustificabile ai sensi dell’art. 1460 cc perché, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti”.

Nel caso di specie, dunque, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti.

Per quanto riguarda la asserita sproporzione tra la sanzione inflitta rispetto alla condotta contestata, la Corte ricorda che “tanto l’accertamento dell’elemento soggettivo (Cass. n. 1788/2011) quanto il successivo giudizio sulla proporzionalità della sanzione espulsiva adottata (Cass. n. 26010/2018) sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità”.

In pratica, la Cassazione non può intervenire sugli accertamenti di fatto che sono sempre e comunque devoluti al giudice del merito; l’accertamento dei fatti si pone sul diverso piano del giudizio di fatto demandato al giudice del merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.

I Giudici di legittimità, essendo stati provati sia l’illegittimità del comportamento omissivo della dipendente sia lo scopo della condotta del datore di lavoro, finalizzata alla prevenzione rispetto alla sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro, ritenevano legittima la valutazione operata circa la ricorrenza di elementi idonei a costituire la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione. Per questi motivi la Corte rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.